Saadia Mosbah

Si stima che le persone nere tunisine, che si definiscono o che sono socializzate come tali, siano circa 60 mila individui in tutto, anche se non sono disponibili statistiche pubbliche a riguardo. In parte sono persone immigrate dall’Africa sub-sahariana, ma sono anche e soprattutto i discendenti e le discendenti degli schiavi deportati e sfruttati nel paese fino all’abolizione della schiavitù nel 1846. 

Nell’ottobre del 2018 il Parlamento ha approvato una legge per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Anche in questo caso il dibattito decisivo è scaturito da dei casi di cronaca: nel 2016 una donna nera tunisia è stata aggredita verbalmente nella centralissima Avenue Bourguiba e la polizia si è rifiutata di accogliere la sua denuncia, in quanto, secondo loro, non è stata infranta alcuna legge. Solo pochi mesi più tardi tre studenti congolesi sono stati accoltellati alla stazione ferroviaria. In seguito alle proteste della società civile, l’allora primo ministro Youssef Chahed si affrettò a esprimere il suo sostegno alla legge.

In realtà, il dibattito sul razzismo in Tunisia si stava gradualmente facendo spazio già dalle proteste del 2011, grazie al lavoro di associazioni e gruppi di discussione. L’intersezione tra razzismo e discriminazione di genere trova voce in un progetto portato avanti da una potente voce femminile: la fondatrice e attuale presidente di M’nemty, che in tunisino significa “il mio sogno”, è Saadia Mosbah, una donna energica e carismatica. “Le donne nere, raramente hanno trovato posto e rappresentanza nelle associazioni femministe”, accusa Mosbah. “Per questo dal 2017 abbiamo pensato di dar vita ad una associazione di donne nere”.

Secondo Mosbah, la Tunisia non ha mai fatto davvero i conti con la propria storia e con la proprià identità di paese africano. E per questo l’identità e l’eredità della comunità nera tunisina sono state rimosse persino dai libri di storia. “È come se vivessimo in Svezia, non nel continente africano! E la questione è anche non vergognarsi della propria storia. Io sono discendente di schiavi, e allora? Si, è così. E non dovrebbe essere un problema”.

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