Leyla Meriah
Fin da prima della rivoluzione del 2011, un attore fondamentale sulla scena politica tunisina à l'Union générale tunisienne du travail, l’UGTT, che con circa un milione di iscritti è il principale sindacato tunisino. Con la caduta del regime di Ben Ali, l’ex sindacato unico non ha perso il proprio ruolo centrale nelle negoziazioni tra Stato e parti sociali. Un ruolo che ha assunto una rilevanza maggiore con il moltiplicarsi delle negoziazioni tra Tunisia e Fondo monetario internazionale, tanto da esser definito dall’analista politico tunisino Youssef Cherif “la forza civile di gran lunga più potente nel paese”.
Fondato nel 1946, il sindacato ha grande rappresentanza all’interno del settore pubblico, ma raggruppa anche 19 organizzazioni di settore e 21 sindacati di base. Eredità di un passato scomodo, negli ultimi anni il sindacato è stato oggetto di critiche da parte delle organizzazioni minori della società civile che cercano di ritagliarsi uno spazio nel dibattito pubblico. Le principali: un’eccessiva centralizzazione e una debole rappresentanza femminile.
Leyla Meriah per anni è stata una delle figure di punta dell’UGTT, impegnandosi a favore dei diritti delle donne lavoratrici, in particolare nelle zone rurali. Meriah è molto critica rispetto alla sua esperienza all’interno del sindacato, dal quale ha preso le distanze a causa delle discriminazioni subite in quanto donna: “Ne ho fatto parte dal 2010”, racconta. “Ma alla fine mi sono dovuta scontrare direttamente con il fatto che in quanto donna ero lì solo per una questione di immagine: non mi era permesso fare un lavoro effettivo e serio”.
Per Meriah, per risolvere la crisi sociale di cui il paese non riesce a liberarsi bisogna partire dai diritti delle classi sociali più marginalizzate. In Tunisia, la manodopera sfruttata per una manciata di dinari ha un genere: sono principalmente donne le operaie che nei campi dell’entroterra tunisino raccolgono frutta e verdura per l’esportazione. Quando ci si aggira nelle aree interne del paese, infatti, capita di imbattersi in un pick up carico di operaie che il caporale trasporta dai villaggi ai campi. Sono tristemente famosi gli incidenti nei quali ogni anno perdono la vita decine di lavoratrici.
Il tasso di povertà nelle aree rurali tunisina è del 26%, di undici punti percentuali superiore alla media nazionale. Circa il 32% delle donne tunisine vive in queste aree: oltre la metà è stata costretta ad abbandonare la scuola, e una su tre è analafabeta. Le donne costituiscono il 70% della manodopera agricola, eppure sono pagate meno della metà degli uomini: tra 3 e i 6 euro al giorno (contro una media tra i 6 e i 10 euro per gli uomini). “Se le donne che lavorano nei campi smettessero di fare il loro lavoro, noi resteremmo senza cibo da mangiare - afferma Meriah -. Per me è una questione politica fondamentale. E se vogliamo affrontarla dobbiamo smetterla di organizzare seminari in hotel a cinque stelle, e ripartire dalla situazione sul campo, cercando soluzioni insieme alle comunità locali. Il sindacato deve ripartire dai diritti delle lavoratrici”.
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